Come si brucia una comunità

Ad Avellino, da alcune settimane, non si respira più, è diventato impossibile uscire, soprattutto di sera, senza avvertire i classici sintomi dell’esposizione acuta a un eccessiva dose di inquinanti atmosferici irritanti per le vie respiratorie. Da quanto si evince dai dati delle centraline Arpac, ci sono stati rispettivamente 13 e 18 sforamenti di PM10 dall’inizio dell’anno, rilevati a via Scandone e a via Piave. La media giornaliera, registrata dalla centralina posta nella ex scuola media Dante Alighieri, è di 118 µg/m3, superiore alla media rilevata ad Acerra, dove è presente un termovalorizzatore. Pertanto, si può dire che siamo esposti ad una concentrazione di inquinanti ambientali superiori ai cittadini di Acerra, come se ad Avellino centro fosse stato avviato un impianto di trattamento termico dei rifiuti e nessuno ne fosse a conoscenza.

Dati ARPAC sulla qualità dell’aria – gennaio 2020

La sigla PM10 (Particulate Matter o Materia Particolata, cioè formata da piccolissime particelle) individua una delle frazioni in cui viene classificato il particolato nell’atmosfera. È bene sapere che le particelle microscopiche, che hanno diametro aerodinamico uguale o inferiore a 10 millesimi di millimetro, possono raggiungere le vie respiratorie fino ai bronchi, causando asma, maggiore vulnerabilità alle allergie, infiammazioni e tumori.

La composizione del particolato è molto eterogenea, potendo includere sostanze che vanno dalla polvere al fumo, fino alle gocce di sostanze liquide in forma di aerosol. Nel lessico comune ricorriamo a termini come fuliggine e caligine per le sostanze solide e nebbia per quelle liquide.

Le polveri PM10 si originano da sorgenti naturali come incendi boschivi, sale marino o eruzioni vulcaniche, oppure dall’attività umana, in particolare dai processi di combustione (quelli che avvengono nei motori delle auto, negli impianti di riscaldamento, nelle attività industriali, negli inceneritori e nelle centrali termoelettriche), dagli pneumatici usurati, dai freni e dall’asfalto. Uno studio sull’inquinamento da PM10 in Lombardia ha rivelato che la maggior parte di queste particelle deriva dalla “combustione di biomasse legnose” (quindi stufa a pellets, legna, materiale di scarto dei terreni agricoli), che costituiscono il 45% delle polveri sottili diffuse nell’aria. I motori diesel contribuiscono solo per il 14%, mentre il 13% si origina dal distacco di particelle dalle pastiglie dei freni e dagli pneumatici. (Jacopo Giliberto, Smog: in Lombardia le stufe a pellet la prima causa di Pm10 , Il Sole24ore, 15 giugno 2016).

Ora, visto che ad Avellino e nelle zone limitrofe non ci sono vulcani, non ci sono stati recenti incendi boschivi accidentali e non c’è il mare, possiamo escludere le cause naturali; non c’è altro da fare, quindi, se non intervenire sulle cause antropiche: stufe, camini, impianti di riscaldamento e combustione volontaria di residui vegetali delle coltivazioni. Inoltre, appare evidente che il traffico veicolare, che deve in ogni caso essere ridotto con idonee azioni mitigative, non costituisce che la minima parte del problema. Le emissioni più dannose derivano dagli edifici più vecchi, soprattutto pubblici, presenti in città, come il Tribunale, dagli appartamenti nei quali ci si concede il piacere del camino – anche per tutta la giornata –, perché rende l’ambiente caldo e accogliente – non accorgendosi del danno che in questo modo si arreca ai familiari e ai concittadini –, ma soprattutto dagli agricoltori, che non si curano del benessere della comunità e continuano, senza freno, a bruciare materiale organico. Quest’ultimo, è bene ricordarlo, anche quando non presenta aggiunte di composti chimici di sintesi – diserbanti, pesticidi, fertilizzanti, etc. – o residui di materiale non organico – plastiche, vernici, etc. – è comunque causa di emissioni cancerogene quando viene combusto, dal momento che libera nell’aria gli idrocarburi policiclici aromatici – IPA. La semplice abbruciatura di rami secchi, infatti, è già di per sé fonte di inquinanti cancerogeni.

Proprio per questo, ci saremmo aspettati una mobilitazione straordinaria degli ambientalisti dell’ultima ora, gli organizzatori dei cosiddetti Fridays For Future, agguerritissimi contro le emissioni di CO2 causate dai paesi industrializzati – soprattutto se d’oltreoceano -, ma sorprendentemente distratti di fronte alle emissioni nostrane, di quelle che ti portano il biossido di carbonio fin dentro casa. Evidentemente, la macchina mediatica non è tanto interessata alle questioni locali, e l’assenza di telecamere, o di giornalisti a caccia dei cloni di Greta, non produce quell’impegno civile andato in scena in altre più solenni occasioni.

Vista la media di PM10 e gli sforamenti registrati finora, il Comune non dovrebbe più consentire, come misura urgente, di accendere camini e bruciare residui vegetali, per non provocare seri danni alla salute dei cittadini. Si tratta, infatti, di danni irreversibili, che possono aumentare considerevolmente l’incidenza di patologie respiratorie e tumorali, ma anche provocare, nelle donne in gravidanza che si espongono a questo particolato, danni al feto, rischio di aborto e parto pretermine.

Superata questa fase critica in cui si dovranno applicare misure urgentissime, si potrà far fronte alle emissioni mediante azioni che inducano gli avellinesi a non usare l’auto per i piccoli spostamenti, che riducano il traffico nelle ore di punta, che guardino all’impiego di piante antismog per decontaminare gli ambienti cittadini.

Non si può attendere che la salute degli avellinesi peggiori irreversibilmente: occorre agire adesso e tempestivamente, trascurando gli interessi egoistici di chi sta arrecando danni a un’intera comunità. Non sarebbe piacevole – ma, di questo passo si renderà inevitabile – dover essere costretti a sospendere il consumo di prodotti locali per disincentivare queste dannose pratiche agricole. La situazione richiede lo studio di un piano di emergenza che vada ben oltre una semplice ordinanza. Il Sindaco, l’Assessore all’Ambiente e la Giunta devono impedire che, con i roghi agricoli, si bruci la salute di un’intera comunità.

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