Un sinistro carnevale perpetuo

L’esistenza in un mondo capovolto è come una perpetua sfilata carnevalesca, alla quale si unisce il cupo scenario del disfacimento.(*)

A dispetto del titolo, non tratterò del Carnevale, se non en passant, avendo di mira altri temi. Si sa, è difficile, oggi, allontanarsi dall’argomento che sta contagiando quasi tutti coloro, anche strabici, che si dedicano all’osservazione degli avvenimenti. L’attenzione generale è tutta concentrata sulle incipienti catastrofi e sui multiformi deliri che inevitabilmente ne conseguono; distoglierla da spettacoli così profondamente terrorizzanti richiede una volontà ferrea – da parte del lettore – e una proposta di lettura adeguata – da parte dell’autore. È come quel palato che, abituato al cibo molto piccante, non riesce più a sentire i sapori elementari dei vegetali crudi. Estraggo, allora, dalla faretra un dardo particolarmente acuminato, che si presenta da solo in quello che, a mio giudizio, è l’illuminante titolo di questo scritto. Da dove proviene?

Nel dicembre del 1945 compariva, sulla rivista francese “Études Traditionnelles”, un articolo a  firma di René Guénon, dal titolo Sur la signification des fêtes «carnevalesques». Come è evidente dal titolo – la cui chiarezza mi risparmia dal doverne fare la traduzione –, l’autore intendeva esporre delle interpretazioni del carnevale, assumendo quello che egli definiva “il punto di vista della tradizione”. Non mi addentro nei particolari, ma indicherò solo alcuni temi, che costituiscono certamente degli spunti per qualche riflessione – e meditazione – sul tempo che attraversiamo.

Com’era da aspettarsi, Guénon riferisce anche delle feste dedicate a Saturno – Dio dell’età dell’oro, di un tempo lontanissimo in cui la terra concedeva all’uomo tutto ciò di cui aveva bisogno e l’armonia regnava sovrana –, i Saturnali, in cui veniva ribaltato l’ordine sociale e il mondo appariva “alla rovescia”. Tra i vari aspetti che quelle feste presentavano vi era – oltre alle orge e alla crapula – anche l’elezione di un monarca, che rappresentava quasi una specie di dio cui tributare gli onori. Il capovolgimento, la sospensione delle leggi, la sfrenatezza e le processioni coinvolgevano soprattutto il popolo, mentre le classi più elevate si dedicavano principalmente all’allestimento di sontuosi banchetti e allo scambio di doni.

In una società ordinata, com’era quella romana, l’irruzione del disordine nelle sembianze dei Saturnali era funzionale al mantenimento dell’equilibrio: le forze dirompenti avevano la possibilità di manifestarsi, ma erano “canalizzate” anziché represse. Esse venivano, per questa via, neutralizzate, ricomprese nella ciclicità del tempo e, perciò, operavano nel senso del rafforzamento dell’ordine. Non a caso questa festa cadeva pochi giorni prima del solstizio d’inverno – brevissima dies – proprio per riportare il mondo alle condizioni “anteriori all’inizio” (Del Ponte, 1992).

I papi che hanno assistito agli ultimi festeggiamenti pagani, ai quali prendevano parte anche numerosi cristiani, non mancarono di stigmatizzare la condotta riprovevole dei battezzati, che si lasciavano sedurre da consuetudini immorali. La guerra alla tradizione era da poco cominciata, ma non ebbe tregua.

Oscurata la visione pagana del mondo, il tempo è stato, per così dire, disteso su di un piano orizzontale, acciocché prevalesse l’attesa di un momento finale in cui non fosse più restaurato l’ordine nel mondo, ma si realizzasse la promessa di una beatitudine ultraterrena. Le antiche divinità, convertite in potenze “infere”, hanno poi assunto la funzione di rappresentanti di un tempo definitivamente passato, superato. Il concetto di trascendenza, introducendo una scissione tra umano e divino che la paganitas non conosceva – dal momento che Uomini e Dei erano specie interfeconde –, ha aperto a una graduale desacralizzazione del mondo e, sul lungo termine, allo stesso processo di secolarizzazione.

Desta qualche meraviglia, pertanto, il fatto che, in un mondo in cui i religiosi hanno ormai lasciato quasi completamente il campo agli scienziati – ai quali ci si rivolge con quella devozione che un tempo era riservata agli oracoli – e in cui le antiche aristocrazie guerriere hanno ceduto lo scettro al popolo minuto – che si fa vanto della propria irrilevanza –, in un tempo in cui non vi sono manifestazioni di piazza che non siano ricche di figuranti in maschere dalle fogge più disparate e policrome, desta meraviglia, dicevamo, che possa avere ancora un senso la festa del Carnevale, cioè la festa del “rovesciamento dell’ordine”.

Non vi è alcuna affinità tra l’età che vide l’istituzione dei Saturnali e l’età moderna, in cui si trascinano consuetudini anonime, spesso modificate per motivi commerciali e moltiplicate per necessità consumistiche. Oggi, l’avvento delle festività si coglie prima di tutto al supermercato, nei centri commerciali, dove occorre smerciare i prodotti più superflui e dannosi per far “girare l’economia”. Gli attuali sacerdoti devono fare i conti con un sacro che ormai non possono più amministrare e i “culti” contemporanei sono di norma vissuti attraverso un mezzo elettronico – dal cellulare al televisore –, che costituisce il vero diaframma tra l’uomo e il mondo.

Rispetto ai primordi della paganità italica, cui è connesso direttamente il culto di Saturno, il mondo moderno è dunque il totale ribaltamento. L’età antica ha conservato e tramandato, fin quando ha potuto manifestarsi nel sangue e nell’anima dei popoli che si erano mantenuti “in ordine”, l’idea di un tempo immobile originario, rispetto al quale le epoche successive rappresentavano un decadimento. Tuttavia, nella prospettiva ciclica, ogni nuovo inizio permetteva la trasmissione di ciò che di più elevato era stato conservato. La modernità rompe questa continuità, rivendicando la superiorità di ciò che è adesso, modo, rispetto a ciò che è passato: “antiquitas saeculi juventus mundi,”, scriveva Francesco Bacone.

Quando si arriva alla completa sovversione dell’ordine, la possibilità che, invece, possano essere trasmessi solo gli elementi distruttivi delle età precedenti fornisce delle interessanti occasioni di riflessione sul fenomeno storico del cosiddetto “progresso”. Le considerazioni di Guénon consentono di indicare certi sviluppi della modernità intesa come trasmissione di elementi provenienti da un tempo precedente, che però assumono una valenza per così dire “infera”, nel senso che aprono a possibilità di realizzazione prima non attuabili.

Prendiamo, per esempio, il culto di Cibele-Attis, in cui compaiono due figure divine originarie della Frigia (regione storica dell’attuale Turchia): i seguaci giungevano al punto di sopprimere la propria mascolinità attraverso l’autoevirazione, spesso effettuata al culmine della frenesia orgiastica. Attis era stato generato dal frutto dell’albero sorto dall’organo genitale maschile escisso al dèmone ermafrodito Agdistis, il quale, in occasione delle nozze di Attis con la figlia del re Mida, induce i partecipanti ad evirarsi. Il gesto è compiuto anche dallo stesso Attis, che per intervento diretto di Zeus, potrà in seguito ottenere la resurrezione (Peuch, 1976).

Questo culto si è mantenuto almeno fino al quinto secolo dell’era volgare ed è stato diffuso in tutto l’impero romano. Appare in maniera fin troppo evidente che l’essenza di questo culto sia stata consegnata alle epoche successive, tramandandosi fino ai nostri giorni e diventando un elemento distintivo della più recente fase della modernità. L’evirazione – e l’autoevirazione – è, infatti, un tratto riconoscibilissimo di questi tempi, in cui l’elemento femminile della Grande Madre s’impone nel dominio religioso-devozionale e la figura del maschio è segregata in un cattiverio, dal quale solo l’evirazione ne permette l’uscita. L’espiazione della colpa dell’essere nato maschio – e perciò lontano dalla sensibilità della Grande Madre – può passare solo attraverso la rinuncia irreversibile alla virilità, anche nel suo aspetto più materiale. Nell’universo mediatico – nel quale viene imposta una iconologia fortemente condizionata dalla prospettiva cultuale cibelica – assistiamo da tempo alla spettacolarizzazione dell’evirazione del maschio e alla esaltazione di figure dallo spiccato carattere ermafroditico, segno inequivocabile della permanenza, nell’età moderna, di archetipi e modelli di origine antica, consegnati alle generazioni succedutesi nel tempo.

Una trasmissione “capovolta” costituisce, dunque, l’intima essenza della modernità, facendone il luogo della maturazione di tutte le potenzialità che, sul piano spirituale, erano state limitate e “canalizzate” nelle età precedenti, ma che trovano oggi una possibilità di manifestarsi su scala planetaria. Non vi può essere dubbio, allora, sul fatto che il tempo che attraversiamo è quello che René Guénon definisce “sinistro carnevale perpetuo”, in cui tutto è capovolto; un tempo che rende insignificante qualsiasi rito di sospensione dell’ordine e che ha come sola possibilità di redimersi quella di sovvertire il disordine.



(*) Questo scritto è apparso per la prima volta su una rivista digitale il 25 febbraio 2020.

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