La paura della buona nascita

La paura della buona nascita

“Però tutto lo studio principale deve essere nella generazione, e mirar li meriti naturali, e non la dote e la fallace nobiltà […] e la generazione è osservata religiosamente per ben publico, non privato.” (Tommaso Campanella, La Città del Sole, Edizioni di Ar, Padova, 2013, pp.29-30)
Questa era l’ortogenetica dei Solari di Campanella, la stessa che Platone descriveva nella sua Politeia, secondo una visione in cui era la natura stessa a regolare l’esistenza umana. I medici si occupavano di prevenire e non esclusivamente di curare le malattie in seguito all’esordio. Si preservava un equilibrio stabilito da una conoscenza sintetica e organica dell’esistenza. I due principi su cui si fondava il governo della Città erano la generazione e l’educazione, nuclei della salute individuale e pubblica. La generazione era un bene pubblico, mai privato. La retta generazione, la salubrità del cibo e l’esercizio fisico rendevano trascurabile il numero e l’incidenza delle malattie, mentre la comunità dei beni e il culto della virtù assicuravano ordine nella comunità. L’ambiente genetico e il paesaggio erano in accordo l’uno con l’altro, fusi in una rispettosa consonanza e in una equilibrata reciprocità.
Campanella era un rivoluzionario e noi, al pari del frate domenicano, tendiamo lucidamente a una società in cui, anche nella notte dell’Occidente e della politica italiana, ancora splenda il Sole della salute e della bellezza, quindi della prosperità. Una società sana, di contro a quella malata e disordinata del progresso. La salute è un’idea che sceglie i suoi uomini anche in tempo di malattia. La Città del Sole è un simbolo che non si può dimenticare quando si parla di buona nascita. La volontà si nutre di visioni, di conoscenza e di ideali, nutrimento tanto per la mente quanto per lo spirito.

Illustration showing the formation of an animal cell from dna and chromosomes. Digital illustration.


La corretta genetica è il centro della nostra vita sociale, perché costituisce il primo e fondamentale asse portante della nostra conservazione, sia biologica che culturale. Se non vogliamo che la nostra cultura scompaia, noi dobbiamo essere presenti e tramandarla come nostra eredità. Possediamo un patrimonio raro e prezioso, con un programma di autoconservazione e di autopotenziamento intrinseco, pronto a superare le condizioni più estreme, dalle epidemie, alle catastrofi ambientali e alla scarsità di risorse. In questo momento, invece, ci stiamo condannando all’estinzione, non parlando più di buona nascita – quindi di eugenetica –, di rispetto della ciclicità degli equilibri naturali e non del prodotto dell’artificio tecnologico. La nostra guida dovrebbe essere una genetica liberata, una volta per tutte, dalle manipolazioni della fecondazione artificiale, oramai accettata come unica strada anche quando i problemi di fertilità potrebbero essere risolti con semplici cure naturali o abitudini meno deleterie per la propria salute.
Da qualche decennio nemmeno più della nascita ci si cura, se consideriamo il funesto calo della natalità, che sta mortificando la nostra popolazione. Questo calo è conseguenza della situazione di disfacimento economico e fisico, della mancanza di occupazione, ma anche di una profonda crisi della famiglia, intesa soprattutto come nucleo riproduttivo ed educativo. Il numero delle famiglie cala di anno in anno come si abbassa anche il numero di componenti per famiglia – siamo già a 2,3 – mentre intellettuali, psicologi, finanche medici, predicano la trasformazione delle coppie e delle famiglie, l’annullamento degli ‘obsoleti’ ruoli di padre e madre.
Le tecnologie della fecondazione in vitro sono sempre più avanzate e sono sempre di più le coppie con problemi di infertilità – o in età troppo avanzata per avere figli – che si rivolgono ai centri che praticano queste procedure. Così si apre il discorso della eventuale selezione degli embrioni costruiti con la fecondazione artificiale. In Italia è impossibile, secondo la legge 40/2004.

«Sono, comunque, vietati […] ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche, ad eccezione degli interventi aventi finalità diagnostiche e terapeutiche, di cui al comma 2 del presente articolo» (art.13 comma 3b)
Tuttavia è lecito interrogarsi sul motivo per cui questa pratica, completamente artificiale, sia accostata alla “buona genetica”. Non si migliora una discendenza con la selezione sul genotipo, ovvero sul corredo genetico dell’embrione, perché non avrebbe alcun senso stabilire la presenza o l’assenza di alcuni geni. Sono pochi i caratteri che si manifestano e si ereditano con trasmissione mendeliana, quindi che sono definiti da un solo gene con una duplice possibilità allelica.

La maggior parte di essi, come il colore della pelle, dei capelli, i tratti fisionomici, l’intelligenza, la suscettibilità alle patologie, sono caratteri poligenici, che risentono dell’effetto ambientale, avendo una variabilità genetica e, appunto, anche una componente ambientale. Essi richiedono, invece, quell’equilibrio tra ambiente e genoma che Campanella, e prima ancora di lui Platone, ben avevano inteso.
Qualche mese fa suscitó un certo clamore la notizia che un’azienda americana, la GenomicPrediction, che opera nel settore delle biotecnologie della fecondazione in vitro, avrebbe ideato un software predittivo per selezionare gli embrioni, definendo, dal test del DNA, a quali patologie e caratteristiche ereditarie essi andrebbero incontro. Il valore di questo tipo di analisi sarebbe rilevante solo nella misura in cui essa fosse applicata ai caratteri soggetti alla semplice componente genetica (caratteri mendeliani), ma risulterebbe incompleta per la suscettibilità a patologie che mostrino anche una componente ambientale (ereditarietà poligenica).
Quindi una notizia del genere non può suscitare reazioni scomposte e preoccupate dei moralisti e non si può parlare di eugenetica, intesa come pratica per ottenere figli sani e migliorare la qualità della salute della popolazione.
Inoltre, più ci si addentra nel mondo delle pratiche della fecondazione artificiale, più si smarriscono le regole naturali della buona generazione. L’uomo, a quel punto, dovrà imporsele, per far fronte a scompensi, sbilanciamenti, perversioni e anomalie che, inevitabilmente si generano quando la natura non può più porre un freno, con la selezione naturale, a ciò che non sarebbe in grado di proseguire la sua esistenza e riprodursi. A ciò che, in altri termini, non sarebbe ‘compatibile con la vita’.
Si vive in una società in cui, oramai, la malattia è la normalità e in cui la possibilità di eliminare le malattie sconcerta, come sconcerta la possibilità di vivere come persone completamente sane. Se, in un futuro non così lontano, si potesse ridurre l’incidenza e la quantità delle malattie, con la conoscenza e le tecnologie genetiche, lo faremmo? Quanti sarebbero d’accordo? Immaginiamo di poter intervenire sui geni che trasmettono la suscettibilità al cancro o l’obesità o il diabete o una maggiore probabilità di avere la sclerosi multipla: perché non usare questo progresso per non vivere più la miseria e la pena di uno stato patologico grave o cronico che peggiora le nostre condizioni di vita?

Immaginiamo una società in cui ci si possa liberare – o quantomeno alleggerire – del fardello delle malattie: ci accorgeremmo di essere meno dipendenti dalle forme di assistenzialismo, dalle lobby farmaceutiche, da tutte le entità che, in un modo o nell’altro, manipolano e sottomettono le nostre volontà. Saremmo più liberi. Perché gli intellettuali o i giornalisti, che accusano l’ingegneria genetica di essere un ignobile mezzo discriminante degli individui nella società moderna, non guardano a questa possibilità di liberarsi dalla propaganda di chi vuole manipolare le nostre menti facendoci vivere nella paura costante di ammalarci o di morire?


“Die Krankensind die grössteGefahrfür die Gesunden; nicht von denStärkstenkommtdasUnheilfür die Starken, sondern von denSchwächsten. Weiss man das?…” “I malati sono il pericolo più grave per i sani; non dai più forti proviene la disgrazia ai forti, ma dai più deboli. Questo lo si sa?…” (Friedrich Nietzsche, Zur Genealogie der Moral, Edizioni di Ar, Padova, 2017, 14, pp. 241-243)

Se poi si volesse limitare il temuto effetto discriminante sul piano economico, si potrebbero rendere le pratiche di ingegneria genetica, e soprattutto di eugenetica, gratuite e disponibili per tutti, senza distinzioni. La riduzione delle malattie costituirebbe un significativo alleggerimento della spesa sanitaria nazionale. Tuttavia, questi sono tempi in cui quando, nella politica, si parla di salute, ci si riferisce esclusivamente al trattamento delle malattie e non all’eliminazione di queste.

Infine è necessario, considerate le nostre deleterie abitudini alimentari e gli estenuanti ritmi di vita, prevedere una consulenza costante e un monitoraggio dello stato di salute delle madri italiane, totalmente gratuito e pubblico, durante tutte le fasi della gravidanza e dell’allattamento. Attualmente il test prenatale che consente di rilevare malattie ereditarie a trasmissione mendeliana o aberrazioni cromosomiche (come la trisomia 21), non è a carico del Sistema Sanitario Nazionale, ma dei genitori, con costi variabili per regione, che possono arrivare anche a un migliaio di euro. Neppure l’amniocentesi è gratuita per le madri al di sotto dei 35 anni. Tutti i test che possono mettere in evidenza chiare e inequivocabili patologie genetiche nel feto, che non risentono di variabilità ambientale, devono necessariamente essere gratuite e l’aborto terapeutico di feti malati non deve essere giudicato un omicidio, ma una scelta libera di amore e rispetto verso la vita, la salute e la natura dell’uomo, quindi verso la salute dell’intera comunità.

Eppure in una società in cui le contaminazioni ambientali di ogni grado e livello sono costanti, occorrerebbe rafforzare la nostra capacità di disintossicarci e di restare in salute, ma le abitudini moderne, gli squilibri alimentari, la sedentarietà, l’ignoranza degli ingredienti dei cibi o della loro provenienza, la non ribellione verso i dettami dell’industria farmaceutica e alimentare ci impediscono di rinvigorire il nostro organismo. Assumere antidolorifici e antidepressivi non viene considerato un vizio, eppure è certamente peggio che bere un bicchiere di vino rosso dopo un pasto con un adeguato contenuto proteico e lipidico.
Per non estinguerci è fondamentale non alterare gli equilibri naturali e comprendere quelle leggi biologiche necessarie per aver cura della generazione, come facevano i nostri avi, quindi per aver cura della nostra eredità e del nostro avvenire come popolo.

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