Overton e l’astensionismo

Verso l’abolizione del diritto di voto

Louis-Charles-Auguste Couder, Inaugurazione degli Stati Generali, 5 maggio 1789, olio su tela, 400 x 715 cm, Versailles, Musée national du château et des Trianons

§ Il diritto di voto

La partecipazione al voto rappresenta uno degli aspetti primari degli ordinamenti giuridici repubblicani fin dalla loro prima configurazione in età antica. Ne sono esempi noti a tutti le città elleniche, da Sparta ad Atene, come pure la città di Roma, il cui passaggio dalla monarchia alla repubblica ha segnato una fase decisiva nella storia del diritto. Nelle età successive, il diritto di voto ha avuto diverse manifestazioni, restringendosi a pochi elettori, come i prìncipi elettori del Sacro Romano Impero, per allargarsi nei Comuni medievali a più ampi strati della popolazione e negli Stati moderni alle aristocrazie e al clero, fino ad espandersi a quasi tutti gli strati sociali con la guerra d’indipendenza americana e con la rivoluzione francese.

Nel Novecento si è raggiunto il massimo dell’estensione di questo diritto politico, unendosi al concetto illuministico di “uguaglianza” dei cittadini, ma mantenendo sempre il carattere di un diritto, non di un obbligo. La sanzione, prevista nell’ordinamento italiano fino al 1993 per chi si fosse astenuto dal voto, aveva un peso davvero irrisorio, consistendo nella menzione “non ha votato” iscritta nei certificati di buona condotta. Non è mai stata prevista una multa – come avviene in certi casi in alcuni Paesi europei ed extraeuropei – o, addirittura, una pena detentiva per l’astensione.

È noto che la partecipazione al voto è in continuo calo nelle “democrazie mature”, cioè là dove si dà per scontato che certi diritti acquisiti dai cittadini non verranno mai messi in discussione. Nei Paesi dove è presente il sistema del ballottaggio tra i primi due candidati che hanno ricevuto il maggior numero di voti, senza però aver raggiunto la maggioranza assoluta, al secondo turno partecipa al voto, per ragioni facilmente comprensibili, solo una minoranza degli aventi diritto.

Ha acquisito una significativa notorietà il caso delle elezioni suppletive di Roma del 2022, quando si è recato alle urne, per designare il nuovo deputato, solo l’11 % degli aventi diritto. Considerando che la vittoria è stata assegnata col 59% dei consensi, possiamo concludere che alla Camera dei deputati è arrivato un nuovo membro grazie al voto espresso da circa il 6% degli elettori di quel collegio: la fine della democrazia rappresentativa, ma senza alcuna prospettiva di una democrazie diretta.

§ La finestra di Overton

Secondo il modello sociologico della “finestra”, esposto dallo studioso americano Joseph P. Overton, le politiche attuabili dai governi dipendono interamente dalla accettabilità dei concetti che le sostanziano. Se si volesse, per fare un esempio, promulgare una legge sulla “Regolamentazione della compravendita del sangue umano”, si andrebbe incontro alla sollevazione generale contro una siffatta proposta, perché essa non sarebbe fondata su ciò che per la pubblica opinione è considerato ragionevole al punto da rientrare nella pratica commerciale di un Paese. Affinché un governo possa legiferare in merito a una qualsiasi questione, occorre che questa si trovi nella finestra che Overton definisce della Policy, abbia cioè attraversato una serie di gradi precedenti a partire dallo stadio della completa inaccettabilità (Unthinkable), passando per stadi successivi, fino all’ammissibilità da parte dell’opinione pubblica.

Questa puntuale analisi sociologica apre ad alcune questioni di non poco momento: è possibile che il passaggio da una fase all’altra non sia, per così dire, spontaneo, ma sia in qualche modo indotto? In altri termini: una forza capace di diffondere certe opinioni, può farle accettare come naturalmente germogliate in seno a un popolo? Avvalendosi del sistema dei media, può un concetto diventare largamente condiviso da inconcepibile che era in precedenza?

Seguendo l’analisi di Overton, sappiamo che il primo passo dopo l’inaccettabilità (Unthinkable) è quello dell’indicare come estrema (Radical) l’opinione da promuovere. In questo caso, essa è presente in una società come caratteristica di piccoli gruppi, nettamente minoritari. Quando interviene qualche personaggio pubblico a rivendicarla, quella opinione comincia a diventare accettabile (Acceptable), per essere poi ragionevole se a difenderla è un personaggio autorevole, soprattutto del campo scientifico o comunque rientrante nel mondo accademico. A questo punto l’opinione un tempo inconcepibile si diffonde attraverso il dibattito nei media, per accedere allo stadio della ragionevolezza (Sensible). Ognuno ne parla e si dichiara favorevole o contrario, ma non si potrà evitare che questa opinione sia oramai diffusa (Popular), trovandosi così nella condizione di poter accedere anche al livello di dibattito più elevato, quello parlamentare, dove assumerà veste legale (Policy) attraverso la regolamentazione da parte delle istituzioni.

Ora, se questo passaggio per stadi prossimi sia un aspetto delle “normali” dinamiche culturali dei popoli o se, invece, sia la risultante di una molteplicità di interessi, anche contrastanti, che emergono in una società è difficile da stabilire in via definitiva. Possiamo però dichiarare, con sicurezza di argomentazioni, che lungo tutto l’arco del Novecento, e in parte anche sul finire dell’Ottocento, diversi studiosi hanno messo in luce il ruolo ricoperto da alcuni gruppi di potere nel delineare e propagandare, secondo modalità non sempre palesi, opinioni e comportamenti nelle masse, a partire dalla conoscenza della psicologia di queste ultime (cfr. G. Le Bon, Psychologie des foules, 1895).

Le masse, secondo i più noti esperti di marketing e di pubbliche relazioni, reagiscono secondo delle modalità che possono essere studiate dalla psicologia sociale, allo scopo di definire una direzione lungo le quali esse verranno accompagnate. Diventa possibile, in questo modo, non inseguire i gusti del grosso pubblico – che si dirige ora in una direzione, ora nell’altra in maniera pressoché imprevedibile – , ma anticipare e direzionare quei gusti mediante opportune strategie (cfr. E. L. Bernays, Propaganda, 1928). Fu proprio Bernays tra i primi ad adoperare quello che poi Overton avrebbe chiamato il modello della “finestra”, quando, alla fine degli anni Venti, riuscì a rendere accettabile (Acceptable), anche nel pubblico femminile, il fumo delle sigarette, mediante una serie di iniziative che legavano questa merce al concetto di libertà e di emancipazione della donna. Da una condizione di inaccettabilità (Unthinkable), infatti, una donna che fumasse una sigaretta divenne dapprima un fatto ragionevole (Sensible) e poi, come oggi, diffuso (Popular), saldandosi all’immagine di una persona libera e sicura di sé. Il cinematografo fece il resto.

Greta Garbo (1930)

L’opinione pubblica non restò, quindi, un semplice fenomeno da registrare, un aspetto della società moderna con cui il politico avrebbe dovuto misurarsi per intercettare il consenso delle masse. Essa era, al contrario, una variabile dipendente dalla sapiente azione di coloro che avevano accesso agli strumenti dell’informazione (cfr. W. Lippmann, Public Opinion, 1922), mediante i quali inducevano un sentimento di fiducia su cui elaborare e orientare le opinioni. Una metodologia che aveva oramai i suoi esperti, i quali non tardarono ad allargare il loro campo d’azione dalla pubblicità delle merci alla politica. Ciò avvenne soprattutto nel secondo dopoguerra, a partire dalle elezioni politiche americane degli anni Cinquanta (cfr. V. Packard, The Hidden Persuaders, 1957), quando i cosiddetti spin doctor assursero al ruolo di consiglieri dei candidati alla presidenza degli Stati Uniti. Del resto, se è possibile indurre un comportamento che si traduca nell’acquisto di una particolare merce, perché non indurre anche a votare per un certo politico o per una determinata fazione?

§ Il modello orientale

Il processo di espansione dell’economia di mercato ha imposto ai popoli una condizione esistenziale di sradicamento, prima in patria e, in seguito, sull’intero pianeta, per cui masse sempre più vaste hanno preso a muoversi seguendo i tracciati definiti dai protagonisti della globalizzazione. Venuti a contatto, i mondi occidentale e orientale hanno esibito le loro connotazioni sociali. Le grandi compagnie americane, prima, ed europee, poi, hanno cercato acquirenti e manodopera in Oriente per massimizzare i profitti, mentre esportavano le loro sofisticate tecniche di produzione. Col tempo si è avuta la prova che il sistema cinese era senza dubbio più efficiente, per alcuni evidenti motivi. La società cinese presenta un significativo numero di diritti sociali in meno rispetto a quelli presenti in Occidente. Ciò consente di ridurre un dei costi principali della produzione industriale: il costo della manodopera. A fronte di questo vantaggio concorrenziale, l’Occidente poteva mettere in campo solo l’affidabilità dei suoi prodotti e la superiorità tecnologica, elementi che, col procedere della ricerca, sono stati ampiamente recuperati dalla Cina, la cui crescita e il cui potenziale ne hanno fatto il rivale economico par excellence degli Stati Uniti.

Come già accaduto nel secolo scorso, il forte contrasto tra potenze di livello mondiale può provocare un fenomeno di corrispondenza dei modelli sociali e politici. Per combattere il modello sovietico, la Germania ne ha replicato alcuni elementi, soprattutto sul piano della tenuta sociale, sfociando nel totalitarismo, seppure di natura diversa rispetto a quello dei soviet. Lo stesso, sebbene in misura notevolmente inferiore, è avvenuto in Italia e in altri paesi che si sono posti in contrasto col bolscevismo, che già aveva tentato di penetrare in Europa nel primo dopoguerra. Questo confronto diretto, anticipatore di una guerra a venire, obbliga a una compattezza interna, che prosegue fino al livello massimo di espressione, con lo Stato totalitario.

Non diversamente da allora, in Europa si stanno producendo cambiamenti significativi nel tessuto sociale, che postulano la compressione dei diritti sociali – compensati da un allargamento artificioso dei diritti civili come valvola di sfogo delle masse – e la costruzione di un nuovo modello di Stato. In definitiva, sta avvenendo in Europa, e nell’intero Occidente, una torsione della concezione di “Stato di diritto”, che prelude a una transizione verso modelli di tipo totalitario.

È ovvio che una siffatta transizione richieda, necessariamente, tempi molto lunghi, se non vuole essere foriera di instabilità sociale e politica. L’unica via che consenta una rapida accelerazione verso modelli statuali orientali è quella illustrata in più occasioni da uno dei maggiori esponenti del potere europeista e sintetizzabile in questa sua celebre dichiarazione: “l’Europa ha bisogno di crisi, e di gravi crisi, per fare passi avanti” (M. Monti, 2011). I “passi avanti” a cui si riferiva erano le cessioni di sovranità, ossia il dissolvimento degli Stati nazionali nell’Europa della finanza. Il modello che oggi si va strutturando è quello piramidale e totalitario, in cui i popoli non hanno più espressione nazionale e i diritti vengono stabiliti, di volta in volta, secondo le esigenze della Commissione. In luogo dei governi vi saranno dei commissari plenipotenziari, sul modello Monti-Draghi, che reggeranno gli Stati fino a quando sarà ancora necessario mantenere dei simulacri di nazioni. Simultaneamente, all’interno di questi aggregati si sta procedendo al dispiegamento di nuovi e più efficaci metodi di sorveglianza e controllo – dal green pass all’identità digitale, dal denaro elettronico al lavoro a distanza – con l’obiettivo di raggiungere il livello di affidabilità e di compattezza della società cinese, in previsione dei prossimi conflitti mondiali.

§ Abolizione del diritto di voto

In questo scenario, impiegare tempo prezioso per svolgere le elezioni politiche, anziché destinarlo alla produzione e all’organizzazione sociale, è un vistoso controsenso. Occorre promuovere dall’interno della società, proprio come Bernays seppe promuovere il fumo delle sigarette nel pubblico femminile, un processo di liberazione dal diritto di voto, facendo apparire la rinuncia ad esso, e quindi la pratica dell’astensionismo, come la conquista di un maggiore grado di consapevolezza, raggiunto da un cittadino migliore rispetto a quello che ancora resta invischiato nelle mene della politica elettoralistica.

Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile che esso appaia come una conquista personale, frutto dell’attenta osservazione dei fatti, dai quali non si può che derivare una lezione incontrovertibile: le vere decisioni politiche nascono in ambienti sui quali il voto non può in nessun modo incidere; pertanto, votare è inutile. Non solo. L’esercizio di questo diritto consente la sopravvivenza di una classe politica parassitaria, che, non potendo esercitare alcun potere reale, vive alle spalle del resto della popolazione, eseguendo gli ordini che provengono dai centri di potere superiori. Liberandosi dal diritto di voto si ottiene, automaticamente, l’estinzione della classe politica parassitaria e l’impossibilità, da parte dei centri di potere reale, di condizionare ancora la vita dei popoli.

L’astensionista, tuttavia, quando non è semplicemente anarcoide, immagina che possa un giorno ricomporsi un partito di elementi puri, sottratti alla corruzione del potere e del denaro. Quel giorno egli tornerà a esercitare il suo diritto e la vita scorrerà felice. Inutile sottolineare i tratti utopistici di un siffatto ripiego, che, per sua natura, rappresenta il limite irraggiungibile posto al di sopra dei destini umani e che, mentre dovrebbe servire a respingere le accuse di utopismo, le conferma in pieno.

Fin qui, la “finestra” di Overton è aperta sul piano dell’estremismo (Radical), proprio di piccoli gruppi fortemente motivati e non può ancora raggiungere lo stadio della regolamentazione formale nei termini dell’abolizione del diritto o della sua limitazione a piccolissimi gruppi. Ma nel tempo essa è transitata gradualmente sul piano della accettabilità (Acceptable), quando alcuni personaggi pubblici si sono dichiaratamente espressi in favore dell’astensionismo. È avvenuto, in Italia, quando personaggi come Fabio Fazio e Aldo Cazzullo hanno toccato il tema dell’astensione (non precisamente dell’astensionismo, ma l’effetto ai fini della finestra di Overton non cambia, perché rinforza comunque la decisione di rinunciare al diritto). Con il loro intervento la questione ha assunto toni nuovi, di ammissibilità e di plausibilità, che prima non aveva. Ora il dibattito è aperto e maturo per poter spostare la finestra in avanti, verso la ragionevolezza e, quindi, verso una diffusione ampia nella popolazione. Quando si sarà stabilizzato il dato del 10%, già peraltro raggiunto nel caso sopra riportato delle elezioni suppletive, si interpreterà il diritto di voto come superfluo e, di conseguenza, si passerà alla sua soppressione per naturale decadimento.

Questo non implicherà di certo la soppressione dei governi, che verranno rapidamente sostituiti dai commissari plenipotenziari europei, già ampiamente sperimentati nel 2011, con il governo Monti, e nel 2021, con il governo Draghi, con gli effetti sociali che sono ben noti (dalla riforma delle pensioni all’introduzione della segregazione sanitaria). In particolare, il governo Draghi ha dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che il potere esecutivo può sussistere senza il potere legislativo mediante la decretazione d’urgenza. Il passaggio della conversione in legge, di cui è responsabile il parlamento, può essere, con più efficienza, affidato a un ufficio di Bruxelles, che ne valuterebbe in pochi giorni la rispondenza ai parametri europei.

L’estinzione del diritto di voto renderebbe più efficiente l’intero sistema europeo e lo collocherebbe sullo stesso livello di solidità e rapidità di intervento del modello cinese. Non vi sarebbe alcuna apparente veste ideologica nelle funzioni dei Plenipotenziari europei e ciò darebbe una maggiore coesione al corpo sociale, che non sarebbe più attraversato da faziosità e rissosità interne. La dialettica partitica verrebbe risolta nella completa assenza di politica, dal momento che i governi sarebbero esclusivamente dei consigli di amministrazione coadiuvanti l’azione del commissario plenipotenziario. Si potrà finalmente rivaleggiare con la Cina ad armi pari, passando ad un nuovo modello sociale totalitario.

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